venerdì 28 ottobre 2016

MARINA ABRAMOVIC_THE SPACE IN BETWEEN


La mia illusione che a 70 anni la sofferenza possa essere ormai superata, che la saggezza possa portare alla pace spirituale e che tutta la rabbia dovuta ai tradimenti possa scivolare addosso senza lasciare tracce, si è ormai dissolta.
Marina Abramovic, tonica come poche, nuda come non mai, urla in un silenzio composto la sua disperazione.
Lo fa in una maniera non inusuale, e mi colpisce il fatto che porti avanti lo stesso tentativo di Nick Cave, ossia quello di documentare i pensieri attraverso il video. In due film proiettati nelle sale solo per un paio di giorni, a distanza di una settimana, entrambi esorcizzano le paure, ognuno secondo le sue inclinazioni, attraverso la comunicazione.
Nick Cave, nel film documentario "One more time with feeling", aveva portato con sé una troupe negli studi di incisione del suo album, e anche un po' a casa sua, per raccontare e raccontarsi, in un momento di crisi profonda.

Marina Abramovic, invece,  parte per un viaggio, che la porta nel cuore dell'esoterismo del Brasile.
Tante facce, sguardi profondi ed esperienze singolari, che contengono in sé e poi sprigionano con forza il sapore della magia, che è propria della creazione. Quella stessa magia che Nick Cave utilizzava, o di cui era tramite, nel momento in cui, mettendosi al piano con aria incerta, si lasciava andare alle note, che fluivano secondo una improvvisazione precisa e scandita, dettata, forse dalle stelle.
Certo, questo a meno di considerare che le stelle siano proprio loro, gli artisti al servizio della natura, dei sentimenti nascosti ai più. Depositari di una sensibilità fuori dagli schemi e dal comune, con il compito di spiegarla agli altri, in una frustrazione più o meno costante.
Il metodo Abramovic, che consiste nel mangiare a colazione uno spicchio d'aglio e una cipolla, è quello che le consente, dice, di visitare i posti più impervi del pianeta senza ammalarsi mai.
Libera nella vita ma non nell'anima, si spinge alla scoperta di sensazioni nuove. Beve, mangia, medita, prega, cammina, parla con la gente. Non c'è nulla di artefatto in un viaggio che, come tutti i viaggi, è finalizzato alla riscoperta di sé. Una rinascita, necessaria e inevitabile, dopo una sofferenza che ha pervaso completamente il corpo e lo spirito.
Incontra, sul suo percorso, donne che, nella semplicità e nell'ignoranza, hanno vissuto una vita ricca della gioia di aver aiutato gli altri.
Lei, protagonista indiscussa della sua vita e del suo viaggio, si mette a nudo, spiritualmente e fisicamente, e mostra a tutti le sue debolezze, e contemporaneamente la sua forza, con l'esibizionismo proprio di una donna che  non si vergogna di essere umana.
Piange, si dimena, si lascia toccare, massaggiare, cospargere di terra, ma soprattutto si affida. Nella sua ricerca di un po' di pace, si abbandona a riti tribali e si fa travolgere dalle tradizioni di un paese che non è il suo.
Colori, vibrazioni, intuizioni, empatia.
Il film è un'esperienza, la sua, che sceglie di condividere con il suo pubblico. Si mette in gioco, come lei sa fare, e si concede.
Differente è la sensazione che si prova invece nel sentirle dire che intende lavorare un po' dietro le quinte, verso la fine del film, per rendere  protagonisti delle sue opere i suoi spettatori.
Marina Abramovic è artista e opera d'arte, e questo non potrà mai prescindere dalla sua opera. Sarà sempre al centro di ogni suo progetto, perché il germe di follia che è dentro di lei, può manifestarsi solo attraverso il suo viso, i suoi occhi, il suo corpo, anche se, per un attimo dovesse decidere di mettersi un po' in disparte.
Questo è quello che io, da spettatrice, vedo di lei.

Nessun commento:

Posta un commento