La mia illusione che a 70 anni la
sofferenza possa essere ormai superata, che la saggezza possa portare alla pace
spirituale e che tutta la rabbia dovuta ai tradimenti possa scivolare addosso
senza lasciare tracce, si è ormai dissolta.
Marina Abramovic, tonica come
poche, nuda come non mai, urla in un silenzio composto la sua disperazione.
Lo fa in una maniera non
inusuale, e mi colpisce il fatto che porti avanti lo stesso tentativo di Nick Cave,
ossia quello di documentare i pensieri attraverso il video. In due film proiettati nelle sale solo per un paio di giorni, a distanza di una settimana, entrambi esorcizzano le paure,
ognuno secondo le sue inclinazioni, attraverso la comunicazione.
Nick Cave, nel film documentario
"One more time with feeling", aveva portato con sé una troupe negli
studi di incisione del suo album, e anche un po' a casa sua, per raccontare e
raccontarsi, in un momento di crisi profonda.
Marina Abramovic, invece, parte per un viaggio, che la porta nel cuore
dell'esoterismo del Brasile.
Tante facce, sguardi profondi ed
esperienze singolari, che contengono in sé e poi sprigionano con forza il
sapore della magia, che è propria della creazione. Quella stessa magia che Nick
Cave utilizzava, o di cui era tramite, nel momento in cui, mettendosi
al piano con aria incerta, si lasciava andare alle note, che fluivano secondo
una improvvisazione precisa e scandita, dettata, forse dalle stelle.
Certo, questo a meno di considerare che le stelle siano proprio
loro, gli artisti al servizio della natura, dei sentimenti nascosti ai più.
Depositari di una sensibilità fuori dagli schemi e dal comune, con il compito
di spiegarla agli altri, in una frustrazione più o meno costante.
Il metodo Abramovic, che consiste
nel mangiare a colazione uno spicchio d'aglio e una cipolla, è quello che le
consente, dice, di visitare i posti più impervi del pianeta senza ammalarsi
mai.
Libera nella vita ma non
nell'anima, si spinge alla scoperta di sensazioni nuove. Beve, mangia, medita,
prega, cammina, parla con la gente. Non c'è nulla di artefatto in un viaggio
che, come tutti i viaggi, è finalizzato alla riscoperta di sé. Una rinascita,
necessaria e inevitabile, dopo una sofferenza che ha pervaso completamente il
corpo e lo spirito.
Incontra, sul suo percorso, donne
che, nella semplicità e nell'ignoranza, hanno vissuto una vita ricca della
gioia di aver aiutato gli altri.
Lei, protagonista indiscussa
della sua vita e del suo viaggio, si mette a nudo, spiritualmente e
fisicamente, e mostra a tutti le sue debolezze, e contemporaneamente la sua
forza, con l'esibizionismo proprio di una donna che non si vergogna di essere
umana.
Piange, si dimena, si lascia
toccare, massaggiare, cospargere di terra, ma soprattutto si affida. Nella sua
ricerca di un po' di pace, si abbandona a riti tribali e si fa travolgere dalle
tradizioni di un paese che non è il suo.
Colori, vibrazioni, intuizioni,
empatia.
Il film è un'esperienza, la sua,
che sceglie di condividere con il suo pubblico. Si mette in gioco, come lei sa
fare, e si concede.
Differente è la sensazione che si prova invece nel sentirle dire
che intende lavorare un po' dietro le quinte, verso la fine del film, per rendere protagonisti delle sue opere i suoi
spettatori.
Marina Abramovic è artista e
opera d'arte, e questo non potrà mai prescindere dalla sua opera. Sarà sempre al
centro di ogni suo progetto, perché il germe di follia che è dentro di lei, può
manifestarsi solo attraverso il suo viso, i suoi occhi, il suo corpo, anche se,
per un attimo dovesse decidere di mettersi un po' in disparte.
Questo è quello che io, da
spettatrice, vedo di lei.