martedì 10 maggio 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot


"Lo chiamavamo Jeeg Robot" è la prova materiale del fatto che con un'idea si possa vincere (su) tutto.
 Un cerchio che si chiude, una storia ben strutturata, completa e coerente dal primo all'ultimo minuto.
Un supereroe a Roma, in un contesto reale, preciso e definito.
Per quelli che, come me, hanno vissuto un'infanzia spensierata, sdraiati sulla poltrona  del nonno a guardare i cartoni animati, tutto ha un senso.
La pagina in bianco e nero di un fumetto nascosto sotto pelle si colora magicamente, e riaffiora, come un tatuaggio segreto.
Il gioco è lo stesso di sempre: i cattivi che vogliono conquistare il mondo, e i buoni che cercano di salvarlo. Un demone buono e un demone cattivo, si scontrano (in me), direbbe Morgan. Prima di incontrarsi,  i due demoni, si dimenano tra furti, droga e violenza... e vanità. Perché l'affermazione di se stessi, e del proprio potere, passa anche attraverso l'immagine.
Il contesto è crudo, la colonna sonora è forte, la fotografia di grande effetto.
Gli attori sono (in)credibili, la sceneggiatura divertente, i colpi di scena non mancano.
L' eroe buono è un po' stordito ed inesperto, distratto e disilluso; subisce mutazioni genetiche come Hulk, perde la sua amata come Ken il guerriero, affronta il suo antagonista come nei migliori combattimenti tra robot.
L' Hiroshi Shiba dei quartieri popolari, Devilman contemporaneo, ama una donna fragile, che gli illumina la vita con delicatezza.
Il livello non cala mai, con Marinelli e Santamaria all'altezza di Superman e Spiderman.
L'eroe cattivo è di paiettes vestito, è vanitoso, capriccioso e inauditamente violento, con lo sguardo dolce delle menti perdute, quello che inganna.
Non ci sono artifici né prese in giro. E' una racconto di fantasia reale al 100%.
Non è magia, è  il cinema italiano con la sua intelligenza, che buca lo schermo senza bisogno di effetti speciali, senza fumo e controfigure; che si avvale di attori  bravi, di storie concluse, che comunica in maniera sottile, creando l'armonia alternando bellezza, sensibilità, violenza, forza, e semplicità.
Perché per essere supereroi non servono sovrastrutture.
Il coraggio è dentro, e si esprime nella voglia di raccontare una storia.
E se non una batmobile non te la puoi permettere, sappi che non è necessaria: è sufficiente una maschera di lana.

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