28 agosto 2013_ i Nine Inch Nails suonano a Milano, penultima data del tour europeo.
NIN_ 2013 |
Il livello non è alto, è altissimo.
I suoni sono perfetti, la scenografia vive di vita propria. Il
gruppo è giovane, e Trent è in piena forma.
Il contatto è graduale. Il concerto comincia con le luci
accese. Uno sguardo veloce tra palco e pubblico. Pochi secondi per osservare chi
si ha di fronte. Ma l’esplosione è nell’aria, e le luci si spengono a breve. Che l’esperienza mistica abbia inizio.
La prima mezz’ora è un’overdose di esperimenti. Lenta,
morbida e sensuale preparazione alla violenza di repertorio.
Un’atmosfera
densa/dance, tecnica e complessa, in cui le note di Sancitified si mescolano e
si confondono, ed è semplice e puro piacere riconoscerle.
La tensione sale ed esplode in una March of the pigs da
manuale, seguita da Piggy e da un immancabile boato. Binomio imprescindibile,
che racchiude una carica emotiva che non delude mai. Stesso discorso per The
frail / The wretched. Alcuni cavalli vincenti, davvero non vanno mai
cambiati.
Il ghiaccio è rotto: Terrible lie, Closer, Gave up. Una buona
dose di YEAR ZERO, che non guasta. La tecnologia, avanzata, è gestita con
maestria e intelligenza.
NIN_ 2009 |
Mentre i suoni vibrano nelle ginocchia, toccano nervi
scoperti mai conosciuti e assumono il pieno controllo sulla gestione dei
movimenti, nell’equilibrio di alcune canzoni riconosco la matematica, i numeri,
la metrica, ma soprattutto le sovrapposizioni, e i layers. Visualizzo l’organizzazione
dei pezzi come disegni di autocad. Immagino suoni blu, suoni verdi, impianto
idrico, impianto elettrico. Incastri perfetti nelle combinazioni più complesse.
Studio approfondito, metodo e attenzione maniacale. Non c’è niente che sia
semplice, e non c’è niente che non funzioni. Poi mi ricordo che Trent è
ingegnere.
Dosi di musica in vena, come flebo di vita. Ossigeno.
Wish, Survivalism,
The good soldier, Only.
Respiro a pieni polmoni come fosse aria di montagna, e non c’è
meditazione che tenga, non c’è preghiera, non c’è santuario, non c’è luogo
sacro che regga il confronto. Energia, che si diffonde pura e positiva.
Head like a
hole e The hand that feeds you non possono mancare.
Sono le 23:00, e un amico me lo fa notare. (Chiaro che vorrei
strozzarlo). Le luci si accendono, e si rispengono, per il gran finale. HURT è
il finale, è sempre il finale. È la quarta volta che vedo i NIN ed è la quarta
Hurt che ascolto, forse la più emozionante di tutte. Mani sulla pancia,
sussurro le parole, e mi godo gli ultimi secondi.
Trent Reznor, per tutta la
vita.
Il concerto è finito, ed io salto ancora. L’età media al
Filaforum è sui trenta. Non ci sono orde di ragazzini, né di nostalgici. Mi guardo
intorno e vedo solo sorrisi. Entusiasmo diffuso, che si avvia lento verso la Milano
di fine agosto. Molti, a dirla tutta, hanno fatto un lungo viaggio. Ne è valsa
la pena.
La mattina dopo, appena sveglia, ricevo un messaggio:
“ma si
rifà stasera eh?”
“certo! Stiamo andando a Zurigo?”
“in capo al mondo!”
Due giorni dopo, invece:
“Manu, come stai? Piaciuto il
concerto? Io sono ancora shockato!”
“io, invece, sono ancora di buonumore!!!”