lunedì 4 giugno 2012

Riccardo Ceres. Salotto 22/ Club Etnie.


Salotto 22, Caserta, via Mazzocchi. In pieno centro un salotto in vetrina nel quale il sig. Ceres si esibisce con, al suo fianco, il compare Fabio Tommasone. Il piano mi accoglie in salotto, scena ottocentesca di intrattenimento pomeridiano. Non c’è una giovane fanciulla al piano, per fortuna, e l’atmosfera è cupa, come piace a me. Luci soffuse, e nero predominante. È la seconda volta che mi imbatto nel “diluvio” casertano/ceresiano, e percepisco una profonda differenza tra i due tipi di pioggia: torrenziale quella al club Etnie di Marcianise del 28 gennaio, più leggera ed estiva quella del 27 maggio a Caserta.

In pieno inverno il club Etnie, pareti rosse e luci basse, accoglie il diluvio con ombrelli rovesciati appesi al soffitto, e si prepara allo scroscio con molta attenzione. Alcuni sono amici, altri conoscenti, altri come me non hanno la più pallida idea di chi sia Riccardo Ceres. Mi dicono, e io ci capisco ben poco, che sia uno che ha a che fare con la mozzarella. Mi fido. In fondo la mozzarella, da queste parti, è roba buona!!

Il sig. Ceres, a me piace chiamarlo così, è un uomo molto alto, nero dentro, e di grande presenza scenica. Sale sul palco, e lo spazio è già suo. Poi comincia a cantare, o parlare, o ad emettere un suono qualunque, e tutto si ferma. I soliti paragoni mi sembrano inutili … la sua voce si avvicina, un po’, a quella di un po’ di artisti..  “ma a me che me ne importa?” Il concerto funziona, e quando un concerto funziona tutto è azzerato. Rimane la musica, e i paragoni sono solo astrazioni superflue.

Salotto 22_ Caserta

Basta il soundcheck, da Etnie, per fermare la sala. “Quando piove diluvia”, detto per dire, per provare il microfono, ed è magia. “Ma chi è chist?? Azz!!” (“ma chi è custui?? Perbacco!”). ll pubblico è presente, o forse non può fare altrimenti. Non è attento, e probabilmente non lo sono neanche io, che non conosco una canzone, e non capisco tutti i testi. C’è confusione, ma è una confusione di quelle in cui mi piace stare, contenta di aver accettato l’appuntamento al buio con un artista particolare e “violento”. Il carisma è palpabile, la voce è potente, e l’aria è densa. Quasi mi stupisco che sul palco ci siano solo due persone, e questa è la dimostrazione della loro bravura.

Sottile, spigoloso, acuto. Riccardo Ceres è intelligente e conosce la lingua italiana. Me ne accorgo anche se non riesco a capire tutto quello che dice. Ma sento che le parole gli piacciono, e sa usarle. Ahimè, triste ammettere che sia cosa veramente rara! Un attore, più che un cantante, che scandisce, e assapora, e intervalla le sue parole con una consapevolezza disarmante. Non confondere, non appiattire, non urlare, non biascicare, non è da tutti.


L’atmosfera di maggio è più rilassata, e le canzoni che ormai ho ascoltato un po’ di volte si intervallano con mazurche e racconti sui nonni. Sulle radici che non si perdono mai, e che sono ostentate con cura e rispetto. Un tango, un pranzo in famiglia, un bicchiere di whiskey, anche se il vino sarebbe più appropriato, e versioni più dolci. Non si può essere sempre incazzati, o comunque non si può essere incazzati sempre nello stesso modo!!

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