1071 5th Avenue, New York, NY 10128-0173.
Se le parrucchiere crescono col mito di Barbie, i musicisti con quello di Elvis, gli idraulici con quello di Super Mario, gli architetti vengono educati col mito del GUGGENHEIM. Non ha importanza cosa ci sia dentro!
Che poi ci sia il meglio dell’arte nel mondo in generale, è un dettaglio.
Non esiste un architetto che non abbia impresse nel
cervello, indipendentemente dal fatto che possano piacergli o meno, le immagini
del Guggenheim di Bilbao e di quello di New York. Si è vero… ce ne sono altri,
due, lo sappiamo… sono quattro e si scambiano le collezioni. Ma a noi non “ci”
interessa! Quello di Berlino e quello di Venezia, per quanto importanti, non
occupano lo stesso spazio nel nostro cervello. Quando arrivi a Bilbao, o in
questo caso, a New York, devi andare, come se fossi posseduto, a vedere coi
tuoi occhi quello di cui hai sentito parlare troppe volte. Non ti ricordi
niente (almeno a me succede cosi). Hai rimosso tutte le informazioni vagamente
utili: non sai più quando l’hanno fatto, non sai perché, e non sai come. Ci
sono solo due cose che ti rimbombano della testa: l’immagine, e FRANK LLOYD
WRIGHT.
Esci di casa, con la mappa sulla quale questi poveracci non
hanno segnato i punti più importanti della città, e sulla quale hai dovuto
ristabilire tu la scala di valori con l’evidenziatore lilla, e cominci il tuo
percorso verso “il mostro”. Non vuoi prendere la metro, e ti sembra vicino. Sai
che quei piccoli quadratini coi numerini… 85, 86, 87, in realtà significano
chilometri a piedi, ma la verità è che tu vuoi goderti lo spettacolo da
lontano, e devi soffrire per arrivarci.
Freddo, poi caldo, poi stanchezza. Arrivi. Tutto è bianco, e
tu sorridi. La spirale, come stelle filanti, l’avevi vista mille volte, ma non
te la immaginavi così. Il parco di fronte, e una situazione familiare. In una
città dove tutto è alto, tutto ti sovrasta, il museo bianco, da elemento alieno
al contesto, in fondo ti risulta quasi familiare, attraente come la casetta di
marzapane.
Le sculture di John Chamberlain non riescono ad attirare la
mia attenzione, mentre il bianco mi assorbe e le spire mi attanagliano. Una
perla perfetta posizionata in un posto riservato, per la gioia di chi riesce ad
apprezzarne i dettagli. Un capolavoro che non può non risultare piccolo e
raccolto in una città in cui tutto è sovradimensionato e le stazioni di polizia
illuminate a festa. Entrati nel tempio, bisogna dimenticare, ed è facile, tutto
quello che c’è fuori. Resettare. E godere della bellezza di un’architettura di
50 anni fa. Il disegno del Guggenheim di Wright, finalmente, assume un’immagine
definita nella mia mente!
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